Prefazione
L’amore assoluto di Galvagni è senza legami: esiste in sé e non ammette giustificazioni se non quelle legate alla sua cantabilità. Il libro, in sé concluso come nella migliore tradizione dei cantari d’amore, apre a prospettive oggi inedite per la poesia: una vera e propria rivoluzione, si potrebbe definire così, è infatti la scommessa dell’Autore di versare parole come miele e dedicare un’opera letteraria al più antico e nobile dei sentimenti. Oggi questa è cosa rara, in un panorama poetico in cui il termine amore sembra essere quasi bandito o sottaciuto. Da qui l’originalità di un libro che va solo letto.
Analizzando l’evoluzione intera della silloge, forte è il riferimento al Catullo dell’Odi et amo, epurato però dal dissidio interiore e dal dubbio: un Catullo rivisitato in chiave moderna, penetrato dalla dolcezza di una poetica, quella di Galvagni, che si esprime per immagini e parole alate. Nulla nell’economia del libro, del resto, si deve al dubbio catulliano, se non l’atmosfera rarefatta, ancestrale; tutto procede per concatenazione analogica di termini simbolici, puri, sempre in grado di levigare, contenere.
Addentrandosi nella lettura dei testi, poi, sicuramente prevale l’ immagine forte di una dolcezza di ape che si posa sui fiori, quasi a emblema di fecondità e pienezza e, cifra tipica della poetica di Galvagni, come contrappasso di un caos ridefinito e depotenziato all’interno di un non luogo in cui l’unità dell’Essere viene ricostituita grazie al candore del sentimento e alla certezza di una parola solida, che sa dire ma velare.
Che sia chiaro, non è ovvietà, questa; è completezza, ordine, come se il verso di Galvagni aspirasse a una sorta di armonia tra forma e contenuto capace di restituire al lettore la certezza di un patto poetico, quello di credere alla compenetrazione dei corpi, agli atti che escludono la frammentazione e alludono alla completezza e che, in quanto tali, generano unità assoluta, senza vincoli. Tale unità può essere determinata soltanto dal patto d’amore: Amor mio / non desidero altro che tu sancisca / l’ora esatta della luce (…) scrive Galvagni in una delle liriche più compiute del libro.
È il verbo sancire che determina il timbro e la sostanza del fatto poetico: soltanto l’amore si dichiara e rende fruibile un reale che, sullo sfondo, resta in parte sotteso, inglobato all’interno di un linguaggio compatto, denso di colori e profumi. Svanisce così il mondo della quotidianità, restituendo al lettore il fatto poetico puro, filtrato talvolta dalla simbologia floreale e da quell’ idea forte di una poesia che raffina e si alza verso il cielo per comunicare purezza, desiderio. Così accadeva nello Stilnovo.
Galvagni, in tal senso, appartiene a una tradizione quasi archetipica che coinvolge e convince; tradizione che viene superato grazie allo scarto levigato di un linguaggio personale in grado di restituire, in un tempo presente fatto di velocità, il piacere della lentezza, tanto caro a Calvino, tanto necessario a chi si avvicina alla poesia per tenerla con sé, farne atto proprio.
Ivan Fedeli