I versi di “Luce d’aurora” posseggono come in piccolo petto un amore metafisico, “ fragile e puro mentre si sfoglia il secolo”.
Mai nessun “orbiterà nelle fiamme dei tuoi occhi/ mentre a me ammiccano cortesi”. In quegli occhi c’è il fuoco divino che accende la sacra notte.
Questi versi sono molto di più di un canto d’amore.
È la visione che accende, intaglia in occhi umani un desiderio di indistinta bellezza.
In quelle iridi metafisiche la morte è nulla più, è l’ala sulla soglia che accende “ un mulino di stelle”.
La donna amata diventa una ossessione, come i granai ventosi di Daniel Arnaut. Ma il suo vero amore è la poesia, che lui canta come vento di sangue e di occhi.
È un canto onirico, fiorito, scolpito che ammicca cortese sul fogliame intarsiato, suo vero corpo d’amore.
La lingua crea colori di una primavera che trova sempre nuove partiture, fughe che ritornano per cesellare la morte nella stanza della luce.
La parola si fa carne, bocca, miele, sembra accarezzare i capelli dorati della sua donna metafisica, di colei che possiede il sorriso di luna.
La splendida Madonna luna tanto amata da Giacomo Leopardi.
Qui la teologia negativa tiene il suo viso di poeta in luce calda. Ed ecco che nel suo anello fioriscono foglie azzurre dove trema solo “il suo verbo e l’inferno”.
Disegna il mistero con mano diafana, sottile, invisibile.
La sua donna è il cartiglio senza note, è la pianta che accende l’orizzonte, la porta profonda e invisibile.
È il chiavistello arcano che possiede il segreto