“Le note dell’anima”, l’ultima creazione del poeta Marco Galvagni, è una raccolta di versi davvero coinvolgenti. L’impressione che ne ricavo, è fiabesca, lucente; lumi immaginali si accendono nella notte, sulle note che sembrano suonate dal flauto di uno spirito antico, una melodia che emerge dai boschi insieme a Orfeo, Pan, Dioniso, Hermes. Le parole brillano come fili d’erba nei prati, in danza di fauni e ninfe, canto di magiche acque che attraversano il tempo e ci portano la bellezza della quale gli dei permeavano ogni cellula umana. Un’epoca in cui uomini e donne erano uniti alla Natura. Mi appare chiara la salda relazione che l’autore intrattiene con la propria Musa. Lei che ne abita l’ispirazione, condivide con lui la creazione che emerge necessariamente dalle passioni, dalle gradazioni del fuoco. Non c’è lirica in cui Natura sia assente; non c’è verso di lasciare il vento, il sole, le nubi, le onde, le stagioni fuori dal foglio. La poesia è là dove la vita pulsa. Nella postfazione alla silloge, anche Emilia Fragomeni riprende il tema che per me è evidente: Natura e Animo sono in Marco Galvagni un binomio antico, la fonte dell’eterna giovinezza del sentimento, il “soffio vitale” – e come non pensare a Psiche, sempre e ancora alla ricerca del suo Eros? Se il poeta fosse colmo della realizzazione d’ogni desiderio, il suo canto non avrebbe luogo, penna e metafore. Se, per contro, la voce che grida e dialoga, e compone versi fosse priva di desiderio, non potrebbe far altro che evocare quelle note che fanno di lui strumento di una musica unica al mondo. Silloge vivamente consigliata.
Valeria Bianchi Mian, psicologa, psicoterapeuta e scrittrice.