La poesia di Monia Gaita s’esprime in maniera fortemente simbolica e va a tracciare i connotati d’un universo nobile dell’anima, in cui trovano spazio sentimenti puri, l’amore inteso nella sua totalità che si canalizza in forma concreta, assolutamente non metafisica ma sentimentalmente tangibile (emblematico l’esordio di Madre terra: “Se io potessi dire al mondo che ti amo”). A questo innamoramento totale fa da contorno il mondo di Monia, fatto di ricordi, di tributi per i propri affetti, di descrizioni della propria terra, dell’enunciazione dell’amore per la scrittura senza disdegnare una tematica impegnativa come quella d’una ricorrente analisi in forma poetica del trapasso. In Monia Gaita, più che la concettualità o la ricerca nelle tematiche a spiccare è l’invenzione verbale, la misura, l’essenzialità di versi talmente levigati da risultare espressivi non solo per ciò che concerne le singole poesie ma per il valore e addirittura invenzioni multiple per ciò che riguarda i versi presi singolarmente: trivello i desideri/ in cerca di una favola/ che duri. Per proseguire in forma spiccatamente poetica in Io straripai dove alla potenza espressiva dell’apertura (“Io straripai nel tuo letto stellato”) fa seguito, verso la parte centrale, una terzina in cui Monia riesce ad abbinare l’espressione della propria gratificazione con la capacità di tracciare sul foglio i propri sentimenti in maniera incisiva ed essenziale: “E qualche tralcio d’edera/ ancora piove arcobaleni/ sulla mano”. Riporto la poesia per intero:
Io straripai nel tuo letto stellato
sapeva anche il variare più innocuo
sapeva di fine, di trauma,
di piaga.
Io contai la tua solitudine
erano fionde e collane incostanti
che traboccavano
da una trapunta di anni.
E qualche tralcio d’edera
ancora piove arcobaleni
sulla mano.
Con lingua spedita
mi parla di te
e si attorciglia ai miei mattini.
Lì’ sferza una voragine di brame.
Quanto t’ho amato in silenzio!
Quanto spergiuro di tempo
ritolto dal legno…
E quanti inutili calici ti porsi!
Tutto inghiottito nel nulla,
in un grumo,
in un tonfo.,
La sua è considerata una poesia complessa, a volte indecifrabile ma io credo che ciò avvenga nel lettore disattento, in coloro che si limitano ad apprezzarne l’estetica senza coglierne la precisione della terminologia per cui risultano alla fine chiari persino i concetti più intricati.
In Madre terra avviene un gioco di rimandi (termine che curiosamente costituisce il titolo d’un libro di Monia) per cui l’elemento saliente, ovverossia l’espressione semantica ad esempio amorosa, viene introdotta in maniera potente nella lirica d’apertura, non a caso intitolata La furia che induce a cercare nell’intera silloge tale connotato e non si può non coglierlo in moltissime poesie. Viene ripreso ad intermittenza dalla stessa Io straripai e poi, alternando considerazioni diverse ma comunque sempre di carattere amoroso. Come in Ritorno incolume dove Monia esprime la sfera del proprio sentire attraverso pregnanti metafore ed immagini, dando lei stessa vita alla matrice incorruttibile d’uno stile lirico e particolareggiato.
Ritorno incolume
alla riva del tuo cuore,
ti scivolo
sul lastrico di pesca di levante
delle labbra,
fisso la corda dei secondi
ad altri ganci.
E indisturbata la ragione
si allontana come un ladro,
descrive un arco annuvolato di partenza
col compasso.
Che bello amarti!
E costellare
di lampi di speranza
il mio soffitto.
Che bello fabbricarmi
un esemplare di rinascita,
battere nelle palpebre del sogno
e ripescare
qualche allodola di luce
dai fondali…
E poi ancora una poesia chiarissima che va a denotare questo importante sentimento:
VOGLIO IL TUO CORPO
Il tuo sorriso ha tentacoli
e santuari d’uva accesa
dove termina il bosco dei miei errori
e posso tingere di vele
le labbra di ogni nascita minuscola
o frazione.
Entra
dentro le gallerie nascoste che ti schiudo,
torreggia sulle cime dell’incerto,
dammi una treccia d’aria,
una rampa celeste,
una traversa umana.
Voglio il tuo corpo spettinato e vero,
voglio il tuo petto sgualcito.
Io voglio l’animale che ti comanda muto
e la tua lingua
che arrotola la notte.
Tra queste poesie esemplificative, versi sparsi emblematici di questo grande amore: Dal primo all’ultimo respiro delle stelle: ora che una crepa si apre nell’intonaco dei sogni…io divampo…scopro un passaggio rasoterra nella neve.
Alla rottura che segna la poesia Accetta, seguono inevitabilme, verso il finale, poesie in cui emerge
la crisi del rapporto amoroso prima tanto magnificato e la relativa delusione. Il tutto espresso sempre liricamente, con invenzioni verbali ben costruite e con l’utilizzo di una terminologia sempre molto efficace. Come, ad esempio, la seguente.
CAPPI DI SOLITUDINE
Entrata in collisione
col tuo cuore,
non ho il coraggio di parlarti
mentre minaccia di crollare
il ponte
di noi due.
Dopo la grande mortalità
di rami di felce,
ignoro il vertice
della parabola d’uscita,
assumo farmaci
di stanco incerottato
dai minuti.
E in fondo alla classifica
dei sogni rimanenti,
cappi di solitudine
scavano nella notte
una trincea.
Come anticipato nel titolo e nella disamina iniziale, se questo potente riverbero del proprio sentimento amoroso nelle poesie di Madre terra è molto potente, anche l’universo degli affetti recita per importanza un ruolo assai rilevante nella poesia di Monia Gaita. Carattere che mi sento di contrassegnare, avendo letto anche il primo libro di Monia “Ferroluna,” nelle poesie Tu sei la madre e Mio padre.
TU SEI LA MADRE
a mia nonna
Tu sei la madre che ricordo,
l’unica,
quella che rese immortale
la luce della mia infanzia,
che a lungo coltivò
la geometria dei semi
dei suoi campi.
Ora che non ci sei
ammetto l’inesistenza delle fate.
E appena incedo
nel chiostro dell’ascolto
trarupa il piede,
si scardina,
legato ad un apice di vuoto
che si compie.
E un’altra riva non c’è
che possa spegnere
le fiamme della bruma,
mentre m’aggrappo alle tue mani
spianata in una nascita
che folgora
e feconda.
MIO PADRE
Mio padre
comprime parassiti,
converte in dolce
l’acre delle piante,
coniuga i suoi pensieri
alle lumache.
Consacra al cielo
il giallo delle prugne
congrega moli mortuarie
ai calabroni,
disereda malerbe
e crescite di stento
dal suo campo.
E a sera,
prima che il buio divori la ragione,
cala una particella di purezza
in fondo agli occhi,
goccia di felicità,
disputa di fatica
ad una svolta,
senso abitato e aperto
lungo il caos.
Oltre a queste poesie, in Madre terra se ne trovano alcune che celebrano l’amore per la propria terra. Questo viene enunciato in particolare nella poesia Il mio paese, attraverso versi ricchi ma allo stesso tempo dotati del dono dell’essenzialità:
E’ circondato il mio paese/ da una corona incalcolabile/ di venti crepitanti,/ una corona di spine,/ un corpo armato di stelle,/….dove i falchetti/ segnalano il confine/ tra l’incantesimo di fichi neri e bianchi/…E’ qui che voglio restare/ al largo delle coste dei rumori/ d’altri luoghi,/ dentro Magliano mia/ pure da morta
Lo spiccato senso religioso di Monia Gaita, poi, si può riscontrare nelle poesie Sono lontana: Ho provato a cercarti/ mio Dio/ e ho creduto di vederti/ dove l’argine d’un fiore/ alla furia delle acque/ diviene opuscolo dei remi e Gesù: Tacciono tutti/…mentre dal cielo/ la luce si prosterna/ dandomi scappatoie di chiaro/ in luoghi di clausure./ E nel poligono di viole/ del tuo nome,/ rivive il cuore,/ azzurro/ che si crogiola/ alla pace.
Il senso dell’inevitabilità della morte fa parte, infine, della poesia di Monia Gaita. Emerge in Traspirerò, che significativamente segue Accetta.
La morte,/ in ultima radice,/ smorzerà ogni suono./ Non mi darà alcun lascito di vento,/ non una scoria di risposta,/ o il livido d’un colpo/ sulla guancia/…Immobile,/ traspirerò dal cielo/ come un’acqua,/ come un sudore verde,/ un interlinea di tranquillo,/ nel bel mezzo.
Tantissimo è stato scritto riguardo alla poesia di Monia Gaita, molto spesso limitandosi ad elogiarne l’estetica. Io ne sottolinerei anche il valore e la funzione simbolica nonchè l’utilità. Molto bene è stato anche scritto del suo stile, analizzandone la struttura e la metrica.
Da parte mia resta poco da aggiungere se non due cose: primo che per originalità lessicale, levigatura dei versi e complessiva matrice stilistica si ritaglia una collocazione unica nel panorama contemporaneo, nonostante lei sia molto umile ed insista a definire il suo “un tentativo;”secondo che è giunto il tempo d’emanciparsi dalla convinzione espressa da qualcuno che la poesia meridionale sia sottovalutata. Non vedo per quale motivo sia necessario farsi dei complessi, quando si può annoverare fra i propri esponenti di spicco Monia Gaita, Rita Pacilio, Melania Panico ed Antonietta Gnerre, oltre ad interessanti voci emergenti: in fondo, se la poesia non ha un valore oggettivo, ne possiede uno intrinseco ed alla fine questo nella media dei critici emerge, sia essa settentrionale o meridionale. Perchè la poesia è un valore alto che non conosce nè razze nè confini ma solo l’amore di coloro che a lei si dedicano con l’anima e il cuore.
Marco Galvagni